Fantafashion edizione speciale
Boom boom booooom! In questi ultimi giorni, tante novità nel mondo della moda: parliamone.
Tempo di lettura 10 minuti. Ritrovate Pierpaolo Piccioli e Dries Van Noten, ma anche la citazione in giudizio di Hermès e A|X Armani Exchange che insieme a MixMag ha trasformato gli store in un temporary club. Infine, come sempre, libri e suggerimenti.
19 marzo: Dries Van Noten annuncia che lascia il ruolo di direttore creativo del marchio eponimo da lui creato 38 anni fa pur continuando a mantenere un ruolo all’interno dell’azienda. “I feel it's time to leave room for a new generation of talents to bring their vision to the brand”, è tempo di lasciar spazio alle nuove generazioni: chapeau, gentile Dries!
Come tanti colleghi, l’ho molto amato e l’ho anche comprato: tuttora conservo una giacchino corto di canapa grezza comprato credo 20 anni fa. La sua moda tra stampe, tessuti ruvidi, ispirazioni artistiche e giacche-divisa, ha conquistato un pezzettino di ognuno di noi.
Diventato uno dei magnifici "Antwerp Six" , dopo il diploma nel 1981 alla Royal Academy di Anversa, nel 1986 parte dal Belgio, insieme agli altri cinque stilisti (Walter Van Beirendonck, Ann Demeulemeester, Dirk Van Saene, Dirk Bikkembergs e Marina Yee) alla volta della Fashion Week di Londra, facendosi subito notare come gruppo avantgarde di una moda intellettuale e di ricerca. Affini al mondo dei giapponesi, avevano suscitato l’entusiasmo anche di Martin Margiela, che, istintivamente, si era poi avvicinato a loro e al loro mondo.
Con il successo, poi ognuno ha preso la propria strada: succede. Quella di Dries, tra stampe, ispirazioni etniche, ricami e sovrapposizioni, si è sempre più focalizzata su una moda che potesse far sentire bene le persone che la indossavano. C’è riuscito, e per quanto (secondo me) dopo l’acquisizione di Puig nel 2018 si sia un po’ diluita, l’anima gentile, curiosa, sofisticata del brand è rimasta intatta nel tempo. Per saperne di più, leggete l’articolo di Angelo Flaccavento su Rivista Studio .
22 marzo: lacrime e sgomento. Pierpaolo Piccioli e Maison Valentino annunciano la fine del sodalizio che è cominciato 25 anni fa. Pierpaolo, questa non dovevi farcela. In realtà, già nel 2023 con Sabato De Sarno volato da Gucci e un nuovo assetto organizzativo nella comunicazione, erano cominciati rumors che lo davano in uscita. Due giorni fa l’annuncio ufficiale.
E quindi è cominciato il totodesigner. Lui dove andrà? Chi prenderà il suo posto? Impossibile pensare di non rivederlo a breve in un’altra maison prestigiosa. Si dice anche che chi prova l’ alta moda poi non torni indietro, già questo crea un filtro.
Comunque vada, rivendico sempre la possibilità per i designer, ormai così sotto torchio, di voler non fare più niente e dedicarsi ad altro. Non è però ancora il caso di Piccioli, lo dobbiamo ritrovare presto in un’altra maison. Sono tanti ma non troppi i messaggi di bellezza e di valori che ha lasciato sul suo cammino: restano ancora delle cose da dire e da fare.
Di cosa ci ricorderemo? Da Valentino nella Haute Couture ha sovvertito i canonici parametri estetici dando attenzione a un tipo di casting che per età e fisico non era mai stato contemplato prima. Nelle attività parallele alle sfilate: l’impegno nel giving back, la restituzione al territorio e alle comunità con le quali la maison ha interagito. La responsabilità sociale anche interna all’azienda, con la creazione di Botteghe d’arte destinate alla specializzazioni dei dipendenti in quel settore di eccellenza manifatturiera che è la Haute Couture.
E poi, la moda uomo. Non solo l’ha introdotta nelle sfilate di alta moda, ma con le sue creazioni ha ridefinito l’estetica maschile contemporanea. Senza timore ci ha proposto una nuova figura maschile garbata (so cool), ingentilita da fiori, tessuti sinuosi, linee morbidi e colori inaspettati.
Pierpaolo, seguendo le tue sfilate mi hai fatto re-innamorare della moda (per me indimenticabile la Club Couture parigina del 2023 vista dal vivo). Ti vorrei da Chanel, da Dior (e la mia amata Maria Grazia Chiuri? Da Fendi, of course!, dove ne avrebbero un gran bisogno sulla donna) ma ovunque tu andrai ti seguirò perché anche io mi sento “giovane e libera” ma soprattutto… ho ancora voglia di sognare.
Roma capoccia. Sono stata per due settimane di seguito in trasferta romana. In meno di 48 ore ho immagazzinato 1 cacio pepe e 1 carbonara, ma come si fa quando si è lì? E la compagnia era ottima. Il 21 marzo con Brunello Cucinelli che presentava la sua linea di occhiali creata con Luxottica: nella splendida Villa Aurelia e con il catering, ormai tradizione, di Vittorio. Serata carinissima con diversi colleghi giornalisti che non vedevo da tempo. A chi si complimentava per il mio account TikTok spiegavo invece la frustrazione di un algoritmo che ormai mi butta nel calderone insieme a un numero sempre maggiore di creator: la torta è quella ma, rispetto a 3 anni fa, è divisa in molte più parti. Che posso fare? Resto nel mio: non voglio cadere in facili polemiche tra opinionisti, parlo solo di ciò che mi interessa, non seguo i trend settimanali e mi focalizzo sulla creazione di contenuti di valore. A ognuno il suo, e spero che venga apprezzato, però lo ammetto, la mia relazione di odio/amore con l’algoritmo è complicata. Se volete supportarmi, condividete e salvate il video nei preferiti, guardandolo fino alla fine. L’algoritmo capirà che il contenuto interessa e continuerà a promuoverlo.
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La settimana precedente, invece ero a Roma con A|X Armani Exchange. Un marchio che ho imparato a conoscere meglio e che, sulla base di un prodotto essenziale e funzionale, ho scoperto avere un animo irriverente: mi piace! Spesso viene banalizzato come la linea a poco prezzo del mondo Armani: è anche così, ma c’è altro.
Creato nel 1991 con la volontà di intercettare la generazione giovane degli anni Novanta, mette radici a New York (il primo store ha aperto le porte a Soho), città caratterizzata dal melting pot di gente, stili e suoni, e che negli anni Novanta rappresentava un vero e proprio crocevia culturale. Nella parola Exchange del marchio c’è lo scambio culturale di questa contaminazione Italia-Usa e, in un significato più ampio, anche la volontà di sfuggire alle definizione binarie classiche e alle convenzioni che definiscono i generi: un pensiero che, mai urlato, è però la base del mondo Armani. Se è vero che Re Giorgio è stufo di “quella matta in mutande che gira in Montenapoleone” (ma si è capito di chi parlava? Di Bianca Censori, di Annalisa sul palco del Festival, delle mutande di Miu Miu o quelle di Dolce&Gabbana?) è pur vero che è stato lui il primo a fare la rivoluzione nel guardaroba delle donne attraverso la giacca e i completi maschili. Una fluidità lei/lui è sempre esistita senza forzature nella sua filosofia.
Torniamo a noi. Con le sue radici anni Novanta, A|X ha nel dna un legame strettissimo con la musica elettronica, e quest’anno si sono inventati una bel progetto con MixMag, piattaforma musicale di culto nel mondo dell’elttronica, dei dj e della club culture. Insieme non solo una piccola capsule: (tanto nero e un flash di acid colors che rimanda alle vibes notturne dei club) ma si sono inventati anche i MixMag Lab, 4 appuntamenti che, partiti dallo store di Milano, sono proseguiti a Roma, per poi arrivare a Miami e concludersi a Londra. Sono andata sia all’appuntamento di Milano che a quello romano, e… come è stato? Travolgente. Le serate negli store scandite da 3 diversi dj set sono diventate… non so come ma è successo… dei temporary club con il pubblico che alle 8 di sera ballava in mezzo ai vestiti. I miei dj preferiti? Matisa e Quest. Musica fino alle 9pm… poi come nei club, si spengono suoni/luci e via, tutti a casa. Ciao è stato bello.
Mi stavo dimenticando delle (presunte) pratiche commerciali scorrette di Hermès. L’oggetto del contendere è la mitica Birkin, da sempre venduta con parsimonia e con una lista d’attesa che pare preveda anche anni d’attesa. Questa pratica è stata creata dall’azienda proprio per contrastare eventuali attività illegali di rivendita.
Per arrivare all’acquisto della Birkin pare che i clienti debbano essere molto fidelizzati al marchio e per essere considerati tali devono prima comprare molti altri oggetti/capi/accessori della maison. Due clienti americani, hanno quindi citato in giudizio il brand appellandosi allo Sherman Act( legge antitrust americana che vieta la monopolizzazione di qualsiasi oggetto commerciale) e il californiano Cartwright Act (che vieta a un’azienda accordi costrittivi per promuovere sistemi anticoncorrenziali).
La questione verrà dibattuta in tribunale. Senza ficcarmi in questioni giuridiche su cui sono TOTALMENTE IMPREPARATA dico solo che la faccenda mi incuriosisce a livello legale. Però non desidererei mai da un brand un oggetto da poter avere solo dimostrando la mia fedeltà attraverso soldi spesi su altro. Aggiungo però, che neanche mi sognerei mai di citarlo in giudizio: la Birkin non è un bene primario, è realistico poter farne a meno. Non me la volete vendere? Pazienza, ne farò a meno. Per finire, nel momento in cui mi venissero proposti altri oggetti…. esiste sempre il libero arbitrio, la possibilità di decidere se procedere all’acquisto. Una vicenda interessante, vedremo che succede. Al di là delle mie opinioni all’acqua fresca, potete leggere gli articoli di Nss magazine e Vanity Fair che offrono una panoramica più esauriente dell’accaduto.
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Miuccia, anche insieme a Raf, resta in assoluto il mio universo preferito. Credo sia un imprinting: cresci con un riferimento e te lo porti dietro, ecco, sì, deve essere così. Tuttora, che la collaborazione con Raf Simmons è più che collaudata e si percepisce ampiamente il suo contributo stilistico, per me Miuccia resta la regina, anzi (come viene definita dai suoi dipendenti) "la Signora” del marchio.
Anche stavolta mi ha irretito nella stratificazione di suggestioni e referenze. Frammenti di storia e ricordi, i classici decostruiti che diventano materia di sperimentazioni avant- garde, il davanti che è diverso dal dietro, fiocchi, ruches, berretti da uniforme, borse bracciale: l’universo di Miuccia mi affascina, offre domande a cui è interessante cercare risposta. E come mi aveva insegnato la mia amata direttrice Cristina Guarinelli ( direttore di D la Repubblica dal 2010 al 2012) a volte le domande risultano più speciali delle risposte.
Per finire, ho ripreso il mio corso allo IED (e ho cominciato in Accademia Costume & Moda quello di styling e fondamenti di editoria). Gli studenti sono sempre affascinati dall’editoria cartacea ma in realtà la conoscono poco. Sono lontani in tempi in cui una quindicenne come ero io aspettava il 25 del mese per correre in edicola a comprare Lei, che ai tempi era la rivista culto dei giovani. I magazine, soprattutto quelli indipendenti hanno ormai una valenza “esotica”, li si compra ogni tanto quando c’è un contenuto d’interesse o si vedono immagini insolite.
Ecco cari studenti o appassionati, ora a Milano c’è FRABS : un luogo che è un atto di resistenza contro l’attuale tempo dell’ incultura. Nato a Forlì, a metà tra edicola e libreria, qui si trovano magazine indipendenti selezionati con cura e amore nella ricerca di contenuti e estetica . In via Sirtori 11 a pochi passi dalla stazione della Metro Porta Venezia, aperto tutti i giorni con orario continuato dalle 11,00 alle 20,00: andateci.
Quirino Conti, Mai il mondo saprà, conversazioni sulla moda, Feltrinelli. Ho iniziato un nuovo libro, che nuovo non è. Scritto nel 2005 ha così tante referenze e voli aulici di pensiero che mi sta affascinando proprio per la sua complessità formale. L’autore decolla dalla Haute Couture degli anni 50/60 per poi planare negli anni Settanta con la caduta/sparizione di quel mondo elitario che non interessava più a nessuno e l’entrata in scena di nuovi attori: gli stilisti, che cominciano a creare pezzi di design che vanno a sostituire le creazioni dei couturiers. Così come anche le fabbriche (e successivamente gli showroom), luoghi in cui si forgia il tessuto e si eleva la produzione da confezione di massa a prodotto di alto rango, prendono il posto degli atelier. Ammetto che non l’ho ancora finito, sono appena a pag. 90 delle 356 totali, ma è un libro che richiede lentezza di lettura: gliela concedo.
L’ arte del fantafashion (cioè fare congetture e analizzare possibilità, azzardare previsioni) piace anche a voi e questo mi diverte moltissimo. L’ avete dimostrato nella LIVE su TikTok di ieri sera: eravamo in tanti e vi siete fatti sentire. Mi stupite sempre con cose che non so o che non mi vengono in mente… sembra davvero una conversazione, nonostante le poche righe a vostra disposizione per interloquire. Grazie a tutti, è stato bellissimo.
A presto!